La vita della città

Dalla passione per una vita comune, una grande opera di carità

L’ospedale degli Innocenti

Il nostro viaggio comincia a Firenze. Prima tappa: l’Ospedale degli Innocenti!
Lo chiamavano il “pulcherrimum haedificium”, l’edificio più bello della città, il complesso che si affaccia su Piazza della SS. Annunziata e sui cui gradini di ingresso un via vai di turisti trova ristoro e un momento di quiete dalle intense passeggiate fiorentine, potendo quasi toccare con le dita la cupola che a poche centinaia di metri annuncia Santa Maria del Fiore.

È un luogo che nasce da un gesto di carità, un gesto di amore di un solo uomo, che bene ci mostra quale fosse lo spirito dell’uomo comunale, quanta passione avesse per la vita della sua comunità! Così, Francesco di Marco Datini, un mercante nato nel 1335 nella vicina Prato e rimasto orfano a causa della peste di entrambi i genitori, dopo aver trovato fortuna in Provenza e aver accumulato grandi ricchezze, decise alla sua morte, avvenuta nel 1410, di destinare mille fiorini d’oro alla costruzione di un edificio che a Firenze potesse ospitare i bambini sfortunatamente abbandonati e rimasti soli.

Un luogo che, come già in parte facevano i vicini Ospedale di San Gallo e di Santa Maria della Scala, provvedesse esclusivamente al ricovero, alla crescita e all’educazione dei piccoli dando loro una nuova occasione di vita! Il lascito testamentario venne ceduto all’Arte della Seta nel 1419, la quale si fece carico di far realizzare il progetto: nasce così Santa Maria degli Innocenti, più tardi conosciuta come Spedale degli innocenti.

Seduti qui, sui gradini di questa loggia, ritorna alla mente quel famoso architetto, forse il più famoso della cultura rinascimentale, che inscrisse per sempre il proprio nome tanto sulla cupola di Santa Maria del Fiore, quanto su questo Spedale: Filippo Brunelleschi. Nulla del suo progetto viene lasciato al caso: per ogni singolo dettaglio Brunelleschi ricerca la perfezione e l’armonia, in linea con il grande ideale classico.

Dai materiali, calce bianca e pietra serena a rimarcare le strutture architettoniche, alle geometrie che ne descrivono le singole componenti. In questo luogo la speranza e la fede degli uomini incontrano la Misericordia Divina: perciò ognuna delle nove campate che percorrono la loggia di ingresso disegna idealmente un cubo, elemento che, già nell’immaginario medievale è simbolo della terra.

Mentre, su ciascuna delle campate è inscritta una semisfera, data dal susseguirsi degli archi a tutto sesto, simbolo della perfezione divina. Il numero 9 che è multiplo di tre, come la Trinità divina, si ripete anche in altri elementi: 9 braccia è l’altezza di ciascuna delle colonne corinzie, 9 le finestre del piano superiore.

Vengono così realizzati il portico, la chiesa e il dormitorio, attorno ad un grande chiostro con al suo centro un pozzo. Poi, grazie all’intervento di un altro architetto, Francesco della Luna, il complesso si arricchirà degli edifici che ospiteranno le donne e le bambine, e di tutto ciò che sarà necessario al bisogno dei bimbi e del personale che dovrà prendersene cura (la cucina, le dispense, i luoghi dedicati allo studio). Ci colpisce come il linguaggio architettonico rinascimentale prenda avvio proprio da qui, un’opera pubblica che si prende cura dei più deboli e indifesi per eccellenza: i bambini.

Essi venivano portati qui e deposti su una pila, una sorta di conca simile a un’acquasantiera, situata sotto al porticato e solo successivamente sostituita da una finestra ferrata. Tra le fasce dei piccoli venivano lasciati degli oggetti o dei bigliettini che, in qualche modo li rendessero riconoscibili. Spesso si accompagnavano alla metà di una medaglietta: la mamma del bambino teneva l’altra metà cosicché se un giorno avesse voluto riavere con sé il figlio, questa avrebbe potuto dimostrare il grado di parentela. Appena entrati, i bimbi venivano posti subito, per qualche istante, in una culla vuota che era posta tra le due statue a grandezza naturale di Maria e Giuseppe per simboleggiare il valore inestimabile dato ad ogni nuovo piccolo che entrava a far parte della grande famiglia dello Spedale.

Esso si faceva carico dell’allattamento e dello svezzamento del piccolo e si preoccupava della sua educazione. Qui il bambino apprendeva a leggere, scrivere, approfondiva la sua fede in Gesù e si accostava all’arte. Divenuto ragazzo aveva la possibilità di frequentare commercianti o piccole botteghe artigiane o industrie tessili per apprendere da vicino un mestiere. Le ragazze potevano invece frequentare le case di alcune famiglie per imparare a svolgere le mansioni casalinghe. La loro uscita dallo Spedale era vincolata alla possibilità di avere una dote in grado di assicurar loro un matrimonio o la vita monastica. L’ospedale, come una grande famiglia, si prendeva cura di tutti i suoi figli, nell’attesa di dar loro una nuova speranza di vita, con la protezione costante della Vergine Maria.

La libera città regia: BAERDEJOV

A più di mille kilometri di distanza, nella stessa epoca, troviamo un altro esempio in cui l’amore per la vita comune genera occasione di benessere e cura per l’uomo. L’antica cittadina di Bardejov, nella Slovacchia Nord orientale, sorgeva lungo la rotta commerciale che, percorrendo il fiume Topľa, collegava l‘Ungheria alla Polonia. La sua prima menzione risale al XIII secolo. Fu un grande centro per il commercio, l’artigianato e la diffusione della cultura umanistica. È famosa per il suo sistema di fortificazioni e per le sue terme. Il centro medievale della città è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO dal 2000.

Nel 1376 Bardejov ebbe il privilegio di essere proclamata “città libera regia”: in tal modo la città diventava una delle più importanti del Regno di Ungheria, libera dell’ingerenza della nobiltà ungherese e in grado di autogovernarsi; inoltre, gli inviati eletti dalle città libere reali avevano la possibilità di partecipare alle sessioni del parlamento ungherese, potendo così avere voce in capitolo in materia di legislatura.

Nel corso del XV secolo Bardejov raggiunse l’apice della sua gloria e della sua ricchezza. La grande prosperità economica della città influenzò la costruzione di nuovi edifici.

La zona di maggiore interesse di Bardejov è senza dubbio la Piazza del Municipio, centro pulsante della città. L’edificio municipale, costruito nel primo decennio del Cinquecento, offre un importante documento di come lo stile rinascimentale si sia integrato e fuso con il già presente stile tardo gotico. Il municipio era la sede del consiglio comunale, il centro della vita pubblica degli abitanti di Bardejov. Il piano terra dell’edificio aveva funzione commerciale, al primo piano c’erano invece gli spazi al servizio del consiglio e dell’erario comunale. Oggi gli stessi locali sono utilizzati come sede espositiva del Museo Šariš.

L’edificio è caratterizzato all’esterno dagli alti timpani laterali, dal tetto a coppi, dalla regolarità e simmetria delle finestre e da un imponente protiro sul lato orientale sul cui architrave del portale di ingresso corre una citazione latina ripresa da Sallustio: PRIVSQM INCIPIAS CONSULTO, ovvero “Rifletti prima di cominciare”.

Il timpano della facciata meridionale è impreziosito da un orologio e dagli stemmi dipinti della città di Bardejov (tra cui frequente ricorre il simbolo del bovino) e dell’Ungheria. 

Sulla cima svetta la figura del leggendario cavaliere Orlando, cantato nelle Chansons de geste, nell’Orlando innamorato del Boiardo e nell’Orlando furioso dell’Ariosto, qui posto a difesa dei privilegi cittadini: la scultura originale era in pietra, opera del maestro Ján di Prešov, oggi sostituita da una copia in rame. Ma non è la sola scultura presente: entrambi i profili dei timpani sono abitati da figure animali, umane e da esseri mostruosi. La più curiosa ritrae un ragazzo con la testa tra le gambe e il sedere rivolto verso la piazza: tradizione vuole che questo gesto prendesse di mira proprio i membri del consiglio comunale, accusati di non aver pagato in tempo i lavori di messa in opera dell’edificio.

Un altro dettaglio interessante è la presenza, sull’angolo sud-ovest, di due misure cittadine cave che servivano a misurare grano e legumi durante la vendita, ancora una volta a ribadire la vocazione mercantile della cittadina al commercio (molte delle case a schiera che si affacciano sulla piazza del municipio venivano allo stesso modo utilizzate per fini commerciali). Anche la decorazione degli interni testimonia l’importanza e la dignità dell’edificio. La sala più grande, che ospitava il consiglio comunale, si contraddistingue per il soffitto a cassettoni sostenuto da travi riccamente policrome e da un dipinto murale del pittore Theofil Stanczel (1475-1531) raffigurante il Giudizio Universale, venuto alla luce grazie ad alcune ricerche effettuate negli anni Settanta del Novecento.

Pochi decenni dopo la costruzione del municipio, Leonard Stockel (1510-1560) avrebbe segnato la storia di questa città traghettando qui le nuove idee di Martin Lutero, presso il quale si era formato, all’Università di Wittenberg. Divenne il nuovo rettore della Bardejov Humanist High School, riorganizzò il sistema scolastico in spirito evangelico introducendo nuove leggi, le “Leges scholae Bartphensis”, attirando qui studenti da ogni parte del mondo e contribuendo alla diffusione della cultura umanistica in Ungheria.