Alla ricerca della bellezza

tra proporzione e armonia

I moltissimi visitatori che giungono a Firenze in treno nella celebre stazione ferroviaria progettata da Giovanni Michelucci sono subito calamitati dalla presenza di lì a pochi metri da una delle chiese più note di Firenze: si tratta della chiesa di Santa Maria Novella, luogo della presenza cittadina dell’ordine domenicano che, assieme all’ordine francescano della non lontana chiesa di Santa Croce, costituì il fulcro del rinnovamento spirituale e culturale della città a partire dal XIII secolo. Con la presenza dei nuovi ordini mendicanti le piazze di Santa Maria Novella e di Santa Croce erano presto diventate luoghi di predicazione e di ritrovo della popolazione; d’altra parte le chiese avevano confermato la propria funzione di luoghi di accesso alla cultura e allo studio, attenti in particolare ai bisogni dei ceti più umili.

Santa Maria Novella è oggi scrigno di alcune delle testimonianze più significative del Rinascimento fiorentino, raccogliendo al proprio interno opere di artisti come Brunelleschi, Masaccio e Paolo Uccello.

Il rifacimento della facciata della chiesa si deve invece a Leon Battista Alberti (1404-1472), uno dei più famosi architetti e teorici dell’arte del Quattrocento. Alberti incarna la figura dell’artista-intellettuale, impegnato ad offrire il proprio servizio ad una committenza alto borghese e aristocratica. Su commissione della famiglia Rucellai Alberti si preoccupò del riammodernamento della preesistente facciata gotica, integrando i vecchi schemi con le novità del linguaggio architettonico rinascimentale. In particolare Alberti disegnò il grande portale centrale, la trabeazione e progettò il completamento superiore della facciata, terminata negli anni Settanta del Quattrocento.

Le figure geometriche si ripetono, alternandosi, in una composizione sempre armonica ed equilibrata in ogni sua parte. Il riferimento ai modelli architettonici antichi è costante: lo si vede inequivocabilmente nella parte sommitale della facciata, costruita come un vero e proprio tempio classico. 

Del resto ciò che Alberti realizza in Santa Maria Novella aveva già trovato una formulazione teorica nel suo De Re Aedificatoria (1452), il primo trattato moderno dedicato all’architettura e ispirato al De Architettura di Vitruvio (I secolo a. C.).

Qui Alberti scrive di quali siano le regole cui attenersi quando si costruisce un edificio: la “firmitas”, ossia la solidità dei materiali e delle tecniche costruttive; la “venustas” cioè la bellezza e l’armonia delle parti; infine “l’utilitas”, cioè la coerenza tra forma e funzione.

Nel V libro del suo Trattato Vitruvio aveva osservato che le proporzioni della figura umana potevano riflettersi in quelle degli edifici sacri, cercando di dimostrare come un uomo dal fisico regolare si potesse inscrivere nelle figure geometriche più perfette, come il cerchio o il quadrato. Leonardo riprende queste riflessioni sul concetto di “proporzione” e di “canone” nel testo che precede e segue il celebre disegno dell’Uomo Vitruviano (1490 circa), custodito presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia.

L’uomo di Leonardo è regolato dagli stessi principi di armonia e di proporzione che regolano la struttura profonda dell’universo. «Vetruvio, architetto, mette nella sua opera d’architectura, chelle misure dell’omo sono dalla natura disstribuite in quessto modo cioè che 4 diti fa 1 palmo, et 4 palmi fa 1 pie, 6 palmi fa un chubito, 4 cubiti fa 1 homo, he 4 chubiti fa 1 passo, he 24 palmi fa 1 homo ecqueste misure son ne’ sua edifiti. Settu apri tanto le gambe chettu chali da chapo 1/14 di tua altez(z)a e apri e alza tanto le bracia che cholle lunge dita tu tochi la linia della somita del chapo, sappi che ‘l cientro delle stremita delle aperte membra fia il bellicho. Ello spatio chessi truova infralle gambe fia triangolo equilatero».

È interessante notare come, non diversamente da quanto già Brunelleschi aveva messo in rilievo nel Crocifisso di Santa Maria Novella, la coincidenza tra la misura delle braccia spalancate e l’altezza del corpo, il concetto cioè di “modulo”, viene in questo caso adottato per descrivere la struttura dell’uomo rinascimentale che è quindi elevato alla statura di Dio. Guardando l’uomo vitruviano, emblema della perfezione, viene da chiedersi: e noi, che percezione abbiamo di noi stessi? L’uomo perfetto esiste veramente?

Il Castello di BRATISLAVA

Il Castello di Bratislava sorge sulla sommità di una collina rocciosa che domina sulla città.  Ha una storia molto antica. Fu costruito nel X secolo e divenne dimora dei re di Ungheria nel XVI secolo (1531-1783).

In particolare sotto il regno di Ferdinando I d’Asburgo (1526-1564) visse la sua stagione rinascimentale: il monarca si preoccupò del riammodernamento del vecchio edificio medievale incaricando Pietro Ferrabosco (1512-1599), pittore, costruttore e architetto originario della Val d’Intelvi (Como) e al servizio degli Asburgo d’Austria dal 1542 al 1588.

Ferrabosco in particolare intervenne sulle quattro ali dell’edificio, che riportò alla stessa altezza, suddivise le sale in parecchi vani, modificò l’aspetto delle finestre gotiche pur non intervenendo sulle facciate che mantennero il carattere originario di residenza-fortezza.

A Ferrabosco con ogni probabilità si deve anche la realizzazione degli affreschi con grottesche e paesaggi di tipo italiano rimasti in un vano del primo piano. 

Durante il regno di Maria Teresa d’Austria il castello ospitò le collezioni reali che sarebbero state successivamente trasferite all’Albertina di Vienna. Oggi è sede del Museo Nazionale Slovacco e alcuni dei suoi locali sono talvolta utilizzati come luoghi di rappresentanza.