Homo faber fortunae suae
L’uomo è artefice del proprio destino
Ci siamo chiesti come sia avvenuto il passaggio dalla cultura medievale a quella rinascimentale: come cambia il sentimento dell’uomo nei confronti di sé e del mondo che lo circonda? Cosa pone al centro del proprio vivere? L’uomo diviene protagonista, in grado di poter guidare la propria sorte e di poterla plasmare, come suggerisce la frase che dà il titolo a questo nuovo capitolo del nostro viaggio, presa in prestito dal mondo romano. Per entrare nel vivo del pensiero rinascimentale abbiamo scelto di presentare qui cinque grandi opere della città di Firenze, di Venezia e di Bratislava.
Cominciamo dal monumento più celebre: Il David di Michelangelo. Quando, l’8 settembre 1504, la statua fu mostrata per la prima volta alla città di Firenze, destò lo stupore e l’ammirazione di tutti. Ad impressionare era l’incredibile abilità tecnica ed espressiva con cui Michelangelo aveva saputo plasmare la figura atletica di questo giovane eroe, bloccato nell’istante appena precedente la lotta contro il gigante Golia. L’opera è molto imponente: è alta 5,17 metri e pesa 5560 chilogrammi. La testa e le mani dell’eroe sono leggermente ingrandite, come a voler enfatizzare il luogo della ragione e lo strumento attraverso il quale la ragione dell’uomo opera; i muscoli sono contratti, l’espressione dello sguardo è intensissima. L’opera, pensata per essere vista dal basso, è armonica in ogni sua parte. Una perfetta incarnazione dell’ideale fisico e morale dell’uomo del Rinascimento. L’ideale del “cittadino-guerriero”, statua-simbolo delle vittorie repubblicane su di qualsivoglia abuso di potere: all’indomani della morte del domenicano Girolamo Savonarola (23 maggio 1498) si era infatti instaurato a Firenze un governo oligarchico, sul modello di quello veneziano, retto dal gonfaloniere a vita Pier Soderini, per mezzo del quale Michelangelo ottiene appunto la commissione dell’opera. Dal sagrato di Santa Maria del Fiore il David veniva dunque spostato con cerimonia solenne in Piazza della Signoria, sede del potere cittadino. Qui venne prima colpita da un fulmine che provocò delle crettature all’altezza delle caviglie, fu quindi preda di un atto vandalico nel 1527 cui seguì il restauro eseguito da Giorgio Vasari e Francesco Salviati. Oggi è sostituita da una copia, mentre l’originale si può ammirare presso le Gallerie dell’Accademia di Firenze.
Non molto distante da Piazza della Signoria sorge la chiesa di Orsanmichele, una loggia costruita in origine come sede del mercato delle granaglie, in seguito trasformata in chiesa delle Arti, le antiche corporazioni di Firenze.
Qui, per una delle nicchie esterne e su commissione dell’Arte degli Spadai e dei Corazzai, Donatello esegue intorno al 1415, la statua del San Giorgio, completa del suo tabernacolo gotico, oggi sostituiti da una copia (l’originale si trova al Museo del Bargello).
Anche il San Giorgio incarna l’emblema dell’uomo rinascimentale, della sua integrità morale, della sua fierezza e della sua energia, della sua centralità nel mondo. È una statua a tutto tondo, una celebrazione di questo santo militare romano che aveva salvato la comunità di Selem, in Libia, e la vita della principessa dalla minaccia del drago. È ritratto in un momento di forte concentrazione prima dell’azione. La figura è leggermente ruotata rispetto all’asse centrale (costituito dello scudo crociato) ed è costruita su un gioco di forme geometriche, ovali e triangoli. Il panneggio, molto dettagliato e verosimile, lascia trasparire ancora qualche traccia di gusto gotico, mentre la compostezza del soggetto prefigurano la nuova sensibilità donatelliana. Il personaggio appare solido e sicuro di sé, al suo volto, orientato verso sinistra, Donatello conferisce dei tratti pensosi: le sopracciglia sono contratte, la fronte aggrottata ad esprimere l’inquietudine che travolge l’animo del soggetto, mentre la postura è quella di un soldato fiero, impavido. Per descrivere lo sguardo di San Giorgio, non possiamo trovare parole migliori di quelle utilizzare da Vasari, che ne sottolinea la «vivacità fieramente terribile».
Alla base del tabernacolo troviamo un rilievo con la scena di San Giorgio che uccide il drago, eseguito con la tecnica dello stiacciato (rilievo bassissimo) ed in cui Donatello prende in prestito la prospettiva lineare brunelleschiana, rendendo San Giorgio, nel pieno del furore, il punto di fuga della scena, cioè il suo centro.
Lasciando per un attimo Firenze e proseguendo alla volta di Venezia desideriamo presentare un monumento equestre: si tratta della statua bronzea dedicata al condottiero Bartolomeo Colleoni (1395-1475), realizzata da Andrea del Verrocchio tra il 1480 e il 1488 e situata in Campo San Zanipolo. Ancora una volta un modello di virtù, della fierezza e della determinazione che bene descrivono l’ideale dell’uomo rinascimentale. L’artista, su richiesta della Repubblica di Venezia, dopo averne elaborato il modellino in cera nella sua bottega fiorentina, si trasferì a Venezia per attendere alla fusione a cera persa del bronzo. Qui però il Verrocchio morì non avendo portato a termine il lavoro nel 1488. Per suo volere testamentario l’esecuzione dell’opera fu affidata al fiorentino Lorenzo di Credi, che però rinunciò in favore di Alessandro Leopardi, al quale si devono anche le parti ornate e il basamento in marmo. Non è difficile cogliere i riferimenti ai quali Verrocchio si ispirò per la progettazione della sua opera: dalla più recente statua equestre al Gattamelata di Donatello, alla Quadriga di San Marco, al Monumento equestre che ritrae Marco Aurelio, al Giovanni Acuto di Paolo Uccello o al Niccolò da Tolentino di Andrea del Castagno nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
La rotazione dei corpi del cavallo e del cavaliere comunicano l’azione imminente. La zampa alzata del cavallo pone un problema di statica che l’artista sa risolvere abilmente conferendo al cavaliere un forte senso di movimento.
Il Municipio di BRATISLAVA
Un luogo particolarmente significativo per la città di Bratislava è il vecchio Municipio. Ci troviamo nella Piazza principale, conosciuta anche come Piazza 4 aprile, in onore della liberazione della città dai tedeschi al termine del secondo conflitto mondiale.
In esso risiedevano le principali funzioni cittadine: era sede del consiglio comunale e dimora del sindaco, ospitava un grande archivio nelle ampie e luminose sale ricavate nei locali sottotetto, ma vi si trovavano anche la prigione, la zecca, la sede dell’ordine di guardia e l’armeria e un’area adibita a mercato presso il suo cortile interno.
Oggi si presenta come un insieme di palazzi collegati tra loro ma costruiti in diverse epoche, una combinazione armoniosa di architettura medievale, rinascimentale, barocca e rococò. Il nucleo più antico corrisponde all’edificio con annessa torre, sul lato orientale della piazza: si tratta della vecchia dimora del sindaco che oggi ospita una sezione del Museo delle memorie della città di Bratislava. Molti elementi mostrano chiari rimandi allo stile architettonico rinascimentale: possiamo trovarne un’eco in uno dei portali di accesso, nella sala del consiglio, nel cortile e nel corridoio che conduce alla stanza del capitano.
Nel 1467 il re umanista Mattia Corvino fonda in città l’Universitas e l’Accademia Istropolitana; qualche anno dopo i primi libri a stampa rivoluzionano il campo della cultura. Gli ideali rinascimentali si diffondono rapidamente nella città che in breve sarebbe diventata capitale dell’Ungheria (1536-1784).
Pochi passi oltre il Municipio ci imbattiamo nella Fontana di Roland, la più antica fontana di Bratislava. È opera del maestro Andreas Luttinger, al quale fu commissionata nel 1572 dal re dell’Ungheria reale, Massimiliano II d’Asburgo, con lo scopo di fornire alla città un approvvigionamento idrico pubblico. Al centro di una grande vasca circolare, dal diametro di 4,5 metri, svetta in cima ad una colonna alta una decina di metri una statua che ritrae un cavaliere in armatura. È il leggendario Roland, difensore dei diritti della città, armato di scudo con l’emblema del Regno di Ungheria, anche se non è scorretto pensare possa trattarsi dello stesso Massimiliano, al quale questo monumento vuole rendere omaggio.
Da alcuni documenti si ricava che questa fontana sia stata costruita all’indomani dell’incoronazione dell’imperatore (8 settembre 1563), giorno in cui sarebbe scoppiato un grande incendio e che nello stesso luogo esistesse già in precedenza una grande cisterna in legno alla quale era possibile attingere acqua in caso di necessità. La fontana ha subito nei secoli diversi rimaneggiamenti che ne hanno alterato l’aspetto originario: le sue forme dovevano in principio ben coniugarsi con lo stile rinascimentale, di cui oggi rimane purtroppo solo un’eco.